Gli esordi “stupidi e ingenui” di un grande giornalista

“I miei stupidi e ingenui scritti”.

E’ una sentenza secca quanto tenera. Che mi ricorda un altro giudizio che sorprese molti e fece quasi scandalo, sulla prima pagina di Gazzetta degli anni ’70:

“Ultimo tango, pur nella sua crudezza e nella sua crudeltà, è un film romantico e innocente, oserei quasi dire: casto.”

Ci sono quasi 30 anni a separare la prima frase, impietosamente autocritica di un 17enne con un sogno fisso, e la seconda, di un ancor giovane ma già affermato e stimatissimo direttore di provincia ma non provinciale. La singolarità di Baldassarre Molossi era anche questa: una nobile, talvolta apparentemente snobistica volontà di distinguersi; e distinguendosi – sembra un paradosso – la capacità di colpire l’attenzione di tutti i lettori, i più svariati .

Le 165 pagine di “Parma 1944. Prove di giornalismo”, edito qualche anno fa da Diabasis, sono talvolta davvero acerbe, talvolta con freddure tipiche di un adolescente, che a quell’epoca cercava un giornalismo in chiave umoristica, ispirato da lezioni come quelle di Mosca ( o del conterraneo Guareschi). Ma due cose colpiscono già nel Molossi di allora: la passione quasi al limite del fanatismo con la quale coltiva il sogno che poi diventerà mestiere e l’altrettanto forte tensione verso la Cultura, la voglia di studiare e di crescere fotografata dalla meticolosa annotazione dei libri letti: 172 in 14 mesi (!).

E quei 14 mesi sono, è tempo di sottolineare anche questo particolare, mesi di guerra, con Baldassarre sfollato oltre Collecchio da dove quotidianamente assiste al passaggio degli aerei che bombardano i veri obiettivi in città, nelle giornate scandite dal suono degli allarmi che avvisano (ma non sempre) del pericolo che si avvicina.

Allora qui iniziamo a capire meglio che quel diario, forse non scritto pensando alla pubblicazione, è oggi preziosissimo per capire una pagina straordinaria della nostra storia e del giornalismo anche nazionale, perchè quel 17enne non sarebbe diventato solo un giornalista. Non sarebbe diventato solo un direttore della Gazzetta parmigiana, come già era avvenuto nella sua famiglia e come ancora nella sua famiglia sarebbe avvenuto in seguito. Quel 17enne con il giornalismo nel sangue firmerà una Gazzetta trovata piccola e trascinata ad una diffusione-record, ammirata e invidiata in tutta Italia.

E in che modo quelle pagine acerbe lasciano capire la stoffa di quel giovane con quello strano nome da Re Magi? Intanto c’è da subito il viscerale amore per Parma: nel breve ritratto di ciò che accade al Regio c’è quasi il manifesto dell’attenzione che la sua Gazzetta riserverà ad entrambe le anime della città. Ed è curioso che nell’etichettare platea e loggione del melodramma, Molossi scelga volutamente di invertire le etichette sociali divertendosi con un geografico “bassifondi” per la Parma nobile delle poltrone e “altifondi” per il popolare loggione. Da dove, se l’opera non tradirà le aspettative, il loggionista “scende la scale con l’animo pieno di una gioia che nessuna amarezza potrà offuscare”.

Ci sono le raffinate stroncature. Come di quei versi che dovrebbero rivelare un talento dell’ermetismo: “Ermetica sta bene. Ma poesia?”… C’è l’animo del cronista, che assistendo a un piccolo mercato va a chiedere: “Ma perchè voi venditori ambulanti dite sempre Venghino al posto di Vengano?”. (Per sentirsi rispondere: “Non è che noi non si sappia che è sbagliato. ma il nostro successo dipende principalmente da questo, diciamo, errore, perchè la gente sorride, si incuriosisce e si avvicina”…). Ed in questo piccolo episodio si capisce anche come quel foglio di provincia sia poi potuto diventare palestra per inviati speciali che la curiosità e le domande erano in grado di declinarle nei luoghi delle guerre o delle rivoluzioni del Pianeta.

Baldassarre divora i giornali che le difficoltà della guerra gli consentono di procurarsi (“Quando mi avvicino a un’edicola mi sembra di essere in famiglia”); fa le pulci agli errori del Corriere e anche…della Gazzetta di cui in futuro sarà responsabile; analizza con il dovuto scetticismo le fonti della propaganda di guerra. A volte può sembrare fuori dal mondo, nel suo preoccuparsi più di un refuso scovato in un testo che del conflitto che ancora si consuma intorno a lui. Ma sarebbe una impressione sbagliata: è sufficiente cogliere fra le righe quelle in cui l’adolescente delle tante freddure è poi lo stesso travagliato giovane che confessa di essere “stanco ormai di questa vita solitaria, vuota, inutile” a cui aggiunge, come diario dell’8 agosto 1944 una sola angosciante parola: “Morire…”.

La foto di copertina lo ritrae con i compagni di classe Luca Goldoni e Giorgio Torelli: la “ghenga” che ricorre anche nel diario con il progetto di un nuovo giornale con tanto di statuto (articolo 6: “i soci fondatori non avranno diritto di ingerenza nella direzione del giornale”). Qualcuno sta facendo sorrisini pensando alla Gazzetta come al “giornale dei padroni”? No, una delle forze di Molossi è stata, pur certo rispettando la linea editoriale, di ispirare il giornale soprattutto alla sua linea direttoriale, nella quale le Opinioni o le Code del diavolo rispecchiavano innazitutto il suo pensiero, che piacesse o no. Ma sempre, come dicevamo prima per quell’accenno al loggione, ricordandosi che Parma aveva due anime contrapposte: e anche quella che si criticava, a volte duramente, andava comunque rispettata e in qualche modo stimata. E se in quella foto di copertina qualcuno rilevasse che gli altri sono finiti nelle più prestigiose testate nazionali mentre lui è sempre rimasto a Parma, si dovrebbe ribattere senza sbagliare che anche per i colleghi che da Parma fecero più strada (anche fisicamente come Egisto Corradi o come gli stessi Torelli e Goldoni) è sempre stato fondamentale scorgere in lontananza quel faro di provincia, quello spilungone occhialuto di raffinata cultura che presidiando Parma ricordava loro le radici non solo dell’affetto ma anche del rispetto per la professione più bella del mondo.

Ps 1 – Nel libro “Parma 1944. Prove di giornalismo” di Diabasis c’è anche una preziosissima post-fazione di Giuseppe Massari, che dice tanto sulla storia recente della nostra città.

Ps 2 – Il mio non può che essere un raccontoa distanza. Ma continuo a sperare che i miei colleghi che hanno vissuto quegli anni e quella Gazzetta trovino il tempo e la voglia di raccontare davvero la storia e i retroscena di quegli anni nei quali il giornalismo di Parma fu per davvero un’eccellenza nazionale.

PARMATECA WEBPer saperne di più su Baldassarre Molossi

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